Troppi controlli sul traffico di droga in Calabria. E i narcos si 'adattano' - QuiCosenza.it

2022-10-12 17:04:09 By : Mr. Jason Zhou

Le indagini, culminate con la raffica di arresti a Gioia Tauro. I finanzieri hanno decriptato diverse intercettazioni sulla modalità di rinvio dello stupefacente

GIOIA TAURO (RC) – Sono stati i controlli a tappeto delle forze dell’ordine nel porto di Gioia Tauro, e le indicazioni “più stringenti” da parte del funzionario delle Dogane, ad indurre i narcotrafficanti internazionali Bartolo Bruzzaniti e Raffaele Imperiale a modificare le modalità di trasferimento della cocaina che dal Sud America approda in Calabria. La circostanza emerge dalle pagine dell’ordinanza con la quale, lo scorso 6 ottobre, il gip di Reggio Calabria Giovanna Sergi ha disposto 36 misure cautelari e un sequestro che hanno consentito di smantellare la rete logistica con la quale la ‘Ndrangheta trasferiva la sostanza stupefacente in Europa.

Tra le 36 persone arrestate figurano anche Bruzzaniti e il ‘napoletano’ Imperiale, sfuggito a tre mandati di cattura ma attualmente detenuto in una località segreta, dopo l’arresto a Dubai, il 4 agosto 2021, e il suo successivo trasferimento in Italia. Un arresto in carcere è stato emesso anche per un altro ‘napoletano’, Bruno Carbone, sodale e amico di Imperiale, anche lui sfuggito a tre mandati di cattura (due emessi a Napoli e uno a Catania). In una conversazione cryptata, tra Bruzzaniti e Imperiale, decodificata dagli inquirenti, emerge tutta la preoccupazione per il crescente numero di sequestri di droga messi a segno a Gioia Tauro dalle forze dell’ordine e, anche, la necessità di stoppare gli invii (“7 lavori (carichi) presi… noi stoppiamo per un pò… ne passerà uno su 10…”) ma anche l’esigenza di non fare brutta figura con i fornitori sudamericani con i quali Imperiale aveva già preso accordi (“…devo essere sicuro che posso lavorare e non fare brutte figure”, dice).

Le indagini, culminate con la raffica di arresti chiesti e ottenuti dalla Procura di Reggio Calabria, eseguiti, il 6 ottobre, dalle fiamme fialle in mezza Italia, hanno consentito di accertare due associazioni assolutamente collegate l’una all’altra: la prima annovera nelle sue fila portuali corrotti costantemente impegnati a prelevare i carichi di cocaina arrivati, per esempio, tra le banane, a Gioia Tauro. L’altra facente capo al trio Bruzzaniti, Imperiale e Carbone, dediti a tessere contatti con i gruppi sudamericani a capo delle forniture di stupefacenti in tutto il mondo e a tenere in piedi le relazioni con i referenti i portuali indefeli per pianificare nuovi traffici.

Il crescente numero di sequestri spinge i narcotrafficanti Imperiale e Bruzzaniti a decidere per il blocco dell’invio della cocaina con il cosiddetto sistema “rip-on” (attraverso borsoni posizionati vicino alle porte dei container che l’operaio portuale “infedele” può prelevare in maniera immediata una volta aperto il portellone) in favore della modalità che invece contempla la corruzione (con oltre 260mila euro) di un adetto allo scanner, colui che è deputato a passare al setaccio il materiale spedito nei container caricati sulle navi cargo. Ma per evitare problemi, la spedizione deve essere una e una sola proprio per facilitare il compito dell’addetto allo scanner infedele il quale, così, dovrà alterare la scansione di un singolo container. E le spedizioni vengono suddivise. I narcotrafficanti, inoltre, ritengono, attraverso questa modalità, di potersi mettere al riparo anche da eventuali fughe di notizie: “Compà, solo se la soffiata è da lì (se la soffiata arriva dalla Colombia) e aprono con certezza senza scanner, si perde…”.

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Frode sulla vendita del pellet, sequestrate 75 tonnellate anche a Cosenza

Processo a Falcomatà, chiesta la conferma della condanna per abuso ufficio

Nell’edificio in stato di abbandono, liberamente accessibile, gli agenti hanno individuato un incavo che conteneva otto involucri

CROTONE –  Le volanti dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico hanno setacciato il centro storico, dove in più occasioni sono state sequestrate a tossicodipendenti dosi di droga appena acquistate, effettuando dei controlli nei luoghi solitamente utilizzati dagli spacciatori per occultare la sostanza.

La verifica del piano terra di un edificio in stato di abbandono, liberamente accessibile in quanto privo di porte, ha consentito di individuare un incavo, sotto delle assi di legno del pavimento, all’interno del quale sono stati rinvenuti 8 involucri, contenenti complessivamente 2,2 chilogrammi di marjuana, pronta per essere smerciata, che è stata sequestrata. Sono state avviate indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Crotone, per individuare il responsabile della detenzione della sostanza stupefacente.

Indagati il titolare di una impresa boschiva della presila crotonese ed il dipendente di un locale laboratorio di analisi

CROTONE – Sono due le persone indagate dalla Guardia di finanza: il titolare di un’impresa boschiva della presila crotonese ed il dipendente di un locale laboratorio di analisi. L’operazione della Guardia di finanza ha consentito di sottrarre dal mercato un rilevante quantitativo di pellet contraffatto e commercializzato in frode. Le energie da biomassa, in un momento in cui il prezzo del gas e dei combustibili fossili risulta particolarmente instabile, rappresentano la prima alternativa tra le rinnovabili e la seconda fonte di riscaldamento per le famiglie e, di conseguenza, il volume degli scambi commerciali ha assunto dimensioni sempre maggiori. Parallelamente, laddove la possibilità di produrre utili è trainata dalla crescente domanda, risulta, altresì, crescente la possibilità di riscontrare condotte illecite nello specifico settore ed, in particolare, proprio nel settore del pellet da riscaldamento che è soggetto a particolari regole destinate a garantire la qualità della filiera produttiva e la conformità ambientale del prodotto.

Il Nucleo di polizia Economico-Finanziaria di Crotone, avvalendosi anche del contributo specialistico dei militari del Nucleo Speciale Beni e Servizi della Guardia di Finanza, ha rilevato come l’imprenditore indagato abbia commercializzato il pellet utilizzando indebitamente un noto marchio di certificazione europea (sinonimo di garanzia di qualità per il consumatore finale) ed indicando sulle confezioni valori rappresentativi del cosiddetto “potere calorifico” notevolmente superiori a quelli reali, utilizzando a tal fine certificazioni chimiche appositamente rilasciate, rendendo il prodotto più appetibile per i consumatori.

Nel corso dell’operazione, eseguita presso l’impresa boschiva ed estesa anche ai rivenditori presenti nelle province di Crotone, Catanzaro e Cosenza, sono state sequestrate circa 75 tonnellate di pellet, confezionato in sacchi di plastica riportanti l’indicazione di un potere calorifico, pari a 5.400 kcal/kg, superiore a quello effettivamente accertato pari a 4.472 kcal/kg ed oltre n. 400.000 confezioni di plastica (da 15 kg cadauno) recanti alcune il citato marchio di certificazione ed altre le predette indicazioni fraudolente, tutte pronte per essere riempite del prodotto sequestrato.

Al sindaco sospeso di Reggio Calabria, in primo grado, erano stati comminati un anno e 4 mesi. Il processo riprenderà il 18 ottobre, giorno in cui inizieranno le arringhe dei difensori degli imputati

REGGIO CALABRIA – Il procuratore generale, Walter Ignazitto, rappresentante della pubblica accusa nel processo d’appello a carico del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, ha chiesto la conferma della condanna di primo grado ad un anno e quattro mesi di reclusione per abuso d’ufficio. Falcomatà, 39 anni, del Partito democratico, è imputato di abuso d’ufficio ed attualmente sospeso in applicazione della legge Severino.

L’accusa contestata al sindaco sospeso riguarda i presunti illeciti, risalenti al 2015, nella procedura di affidamento dell’immobile di proprietà del Comune che un tempo ospitava l’albergo “Miramare” all’associazione “Il sottoscala“, riconducibile all’imprenditore Paolo Zagarella. L’affidamento dell’immobile, secondo l’accusa, avrebbe rappresentato una contropartita per la concessione da parte di Zagarella a titolo gratuito a Falcomatà di alcuni locali per ospitare la sua segreteria elettorale nel corso della campagna elettorale per le amministrative del 2014.

Falcomatà, nel processo conclusosi nel 2021, quando era al suo secondo mandato da sindaco, fu condannato per abuso d’ufficio ed assolto dal reato di falso. Insieme al primo cittadino furono condannati ad un anno di reclusione, anche loro per abuso d’ufficio, con pena sospesa per tutti, gli assessori che componevano la sua Giunta, Saverio Anghelone, Armando Neri, Rosanna Maria Nardi, Giuseppe Marino, Giovanni Muraca, Agata Quattrone e Antonino Zimbalatti. Per tutti, come per Falcomatà, scattò la sospensione per un anno e mezzo. Nello stesso processo, inoltre, furono condannati, sempre ad un anno, il segretario comunale dell’epoca, Giovanna Antonia Acquaviva; l’ex dirigente del settore “Servizi alle imprese e sviluppo economico” del Comune, Maria Luisa Spanò, e lo stesso Zagarella. Il pg Ignazitto ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado anche per i coimputati di Falcomatà .

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