Costa Concordia, il naufragio 10 anni fa: una storia tragica di sciatteria (e di rimozione collettiva)- Corriere.it

2022-10-10 02:10:37 By : Ms. Bella Zhang

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A 10 anni dal naufragio, bisogna ricordare quanto accadde. La sera del 13 gennaio 2012, davanti all’Isola del Giglio, la grande nave da crociera affonda dopo un urto contro gli scogli. I morti furono 32, il capitano Schettino verrà condannato a 16 anni

Lo scafo della Costa Concordia adagiato su un lato davanti all’Isola del Giglio. Le prime fasi del recupero del relitto (le foto sono di Alessandro Gandolfi)

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di «7» in edicola venerdì 7 gennaio, a pochi giorni dal decennale della tragedia della Costa Concordia

La prima immagine è quella della Costa Concordia riversa su sé stessa, come fosse un gigantesco animale morente. Così apparve all’alba del 14 gennaio 2012 ai primi giornalisti e ai soccorritori che dalla terraferma stavano raggiungendo l’Isola del Giglio sul consueto traghetto di linea della Toremar. All’improvviso, il filo dell’orizzonte si fece più spesso, per via di una massa bianca, che più ci si avvicinava e più diventava fuori scala, non stava dentro l’occhio delle persone e neppure nelle fotocamere dei telefonini di allora. Quando il traghetto imboccò il porto, lasciandosi a destra la spiaggia della Gabbianara, dove giaceva quel cetaceo preistorico fatto d’acciaio, calò un silenzio generale. La sola lettera iniziale del suo nome, scritta in rilievo sullo scafo riverso, era alta 21 metri. Il bilancio era ancora incerto. Ma quella visione quasi inaccettabile per i nostri sensi era la prova del fatto che era successo qualcosa di enorme, qualcosa che mai sarebbe dovuto accadere.

L’arresto di Schettino a Porto Santo Stefano il 14 gennaio 2012 (foto Ap)

«Quelle c… di rocce non dovevano essere qui»

Alle 9.30 di quella mattina, un uomo consulta un personal computer appoggiato al banco della reception dell’hotel Bahamas, l’unico aperto in quel periodo di bassa stagione. Nonostante l’ora, ha l’aria stravolta, sembra un pulcino bagnato. Sta sudando. Ha gli occhi gonfi che passano di continuo dallo schermo del laptop a una carta nautica turistica, di quelle fatte per gli ospiti che vogliono scegliere in quale spiaggia passare la giornata. È impegnato in un soliloquio, parla e impreca, rivolgendosi solo a sé stesso. «Quelle c… di rocce non dovevano essere qui» sussurra battendo il pugno sul bancone. «Sembrava la secca del Zanneo », mormora a voce leggermente più alta. Antonio Fanciulli, il proprietario dell’albergo gli dice a voce più alta che si sbaglia, la secca del Zanneo si trova a 1.5 miglia nautiche più a sud degli scogli delle Scole, un complesso di tre rocce sulla più esterna delle quali la Costa Concordia ha sbattuto di poppa, un urto prolungato che ha sventrato lo scafo nella parte sommersa, producendo un taglio lungo settantacinque metri e largo due, uno squarcio che ha aperto la nave all’altezza delle cabine dell’equipaggio . È un dialogo a suo modo illuminante. Quell’uomo che sembra un pulcino bagnato, anche se ha chiesto un cambio d’abiti a Fanciulli, che gli ha dato pantaloni e maglione del figlio adolescente, non ha la più pallida idea del punto preciso dell’incidente che ha causato l’affondamento della sua nave e la morte di 32 persone, e che ha segnato la sua rovina personale.

Gallery: Concordia: cosa accadde quella notte di 10 anni fa

Il comandante Francesco Schettino sembra invece una persona che si muove tra la rassegnazione di chi ha capito che l’irreparabile ormai è avvenuto e puro esercizio dell’istinto di sopravvivenza, attraverso una autodifesa obbligata che fin dall’inizio apparirà sempre forzata, quasi innaturale. «Io ho eseguito una normale manovra turistica» dirà durante una improvvisata conferenza stampa, che si tiene con lui che parla dalla cima delle scale che portano alle stanze del Bahamas. «Quello scoglio non era segnato sulle carte » aggiunge, con un imbarazzo visibile, mentre gli tremano le mani e viene tenuto a braccetto da due dirigenti della Costa crociere che gli parlano nell’orecchio suggerendogli di dire il meno possibile. Accetta di rispondere a una sola domanda, contravvenendo ai consigli dei suoi sorveglianti. Perché è il punto che più gli sta a cuore. «Non è vero che ho abbandonato la nave, me ne sono andato per ultimo». Tre frasi, tre bugie. I carabinieri lo vengono ad arrestare nel tardo pomeriggio.

UNA DONNA LO VEDE A TERRA E GLI CHIEDE: «LEI CHE CI FA QUI? NON DOVREBBE ESSERE SULLA NAVE?». SCHETTINO RISPONDE DICENDO DI ESSERE SCIVOLATO, CADENDO IN UNA SCIALUPPA DI SALVATAGGIO. POI CHIEDE SE C’È UN POSTO DOVE DORMIRE

La ressa dei passeggeri con i giubbotti di salvataggio, a bordo della Costa Concordia, dopo l’urto con lo scoglio, mentre la nave iniziava ad affondare (foto Epa)

La sua permanenza sull’isola non è durata neppure ventiquattro ore. Lui racconterà che quel lasso di tempo gli è stato sufficiente per capire di non essere il benvenuto. «Lei cosa ci fa qui?» gli ha chiesto subito dopo il naufragio la signora Franca , che abita in un appartamento affacciato sul porto. Era pronta per andare a dormire, quando un’ultima occhiata a Facebook le ha rivelato che una nave stava affondando davanti a casa sua. Si mette indosso il giaccone del marito ed esce di corsa, insieme agli altri gigliesi forma una catena umana che sta aiutando i passeggeri terrorizzati a raggiungere la terraferma. È lei a notare il comandante a terra. «Scusi, ma lei non dovrebbe stare lassù?» . E indica la Concordia, dalla quale arrivano ancora delle urla. I gigliesi conoscono la legge del mare. Prima le donne e i bambini, ultimo il comandante. Quella domanda pesa più di qualunque altra accusa verrà poi formulata dalla magistratura. E contiene un giudizio morale, forse una condanna già definitiva. Schettino risponde dicendo di essere scivolato cadendo in una scialuppa di salvataggio. Poi chiede se c’è un posto dove andare a dormire.

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A casa del capo maître della Concordia

Nelle storie di cronaca esistono momenti in cui all’improvviso tutto appare chiaro, e si capisce un evento per quello che davvero è stato. Prima che diventi altro, che venga filtrato dalle ricostruzioni giudiziarie, dalle perizie di parte, dalle mille sovrastrutture anche mediatiche che si addensano intorno a un fatto di rilevanza internazionale. Quell’attimo arriva la mattina del 15 gennaio, due giorni dopo il disastro, con il sole che splende in cielo. La casa della famiglia Tievoli è in cima al promontorio che si apre sul porto del Giglio. Su ognuno dei quattro citofoni della villetta in mattoni rossi c’è scritto lo stesso cognome. Mamigliana e Giovanni, i genitori del capo maître della Costa Concordia Antonello Tievoli , sono persone gentili e accoglienti. Offrono un caffè. «Eccolo il nostro figliolo» dicono indicando un uomo brizzolato in divisa che sorride da una foto in cornice appoggiata sulla mensola sopra il televisore. Non sanno quel che si dice in paese. «Tutto questo disastro per un favore», racconta la gente che ha soccorso passeggeri e membri dell’equipaggio.

Qui sopra e sotto, la Costa Concordia prima e dopo il trasferimento a Genova per lo smantellamento seguito al tragico affondamento all’isola del Giglio

Non sanno neppure che alle 21.08 di quel 13 gennaio, quando mancano meno di trenta minuti all’impatto, Antonella, la loro figlia minore, maestra elementare al Giglio, ha postato su Facebook questo messaggio: «Tra poco passerà vicina la Concordia di Costa Crociere, un salutone a mio fratello che a Savona finalmente sbarcherà per godersi un po’ di vacanza» . E una settimana prima, il 6 gennaio, giorno del penultimo ultimo passaggio della Concordia, Antonella scrive sulla sua bacheca: «Sto facendo i segnali luminosi, chissà se mi vede».

IL 1° OTTOBRE 1993 ERA STATA LA DATA DI NASCITA DELL’ “INCHINO”, LA DEVIAZIONE DELLA NAVE PER RENDERE OMAGGIO A UNA PERSONA O AI SUOI FAMILIARI CHE ASSISTONO AL PASSAGGIO DALLA TERRAFERMA. «FU LA PRIMA VOLTA DI UNA NAVE COSÌ GRANDE, CHE EMOZIONE»

In un magazzino del porto di Genova, il telaio metallico di uno dei sei motori Wärtsilä da 12.600 kW che hanno alimentato la Costa Concordia. All’epoca della sua costruzione, nel 2006, era la più grande nave passeggeri italiana e anche la più grande nave passeggeri europea. Foto di Alessandro Gandolfi

Quando i coniugi Tievoli aprono la porta ad alcuni giornalisti, sono ignari del fatto che il loro Antonello è l’anello di congiunzione di questa storia. A quel tempo ha 52 anni, ha una moglie e una figlia con le quali vive ormai lontano dall’isola. È il veterano della Costa Concordia, dove ricopre un ruolo di responsabilità, perché coordina un piccolo esercito di quasi cinquecento camerieri. È l’unico gigliese a bordo. È l’unico ad avere una famiglia da salutare quando passa vicino all’isola. Tievoli è anche parente stretto del comandante Mario Terenzio Palombo, figlio di gigliesi ma nato a Savona , come nei giorni successivi terrà a precisare in ogni intervista. Quasi a prendere una distanza anche anagrafica da quel luogo meraviglioso dove lui è persona di riguardo, luogo che però è diventato scena del delitto, teatro di una tragedia che ha fatto accorrere i media di tutto il mondo. Ormai in pensione dopo 43 anni di navigazione, 25 dei quali al timone delle navi di Costa Crociere, per molti abitanti dell’isola Palombo è stato il lasciapassare per un impiego nella compagnia.

Nel libro di memorie la genesi della tragedia

Un salvagente della Concordia raccolto sugli scogli dopo il disastro. Foto di Alessandro Gandolfi Tanta gente gli è debitrice, a cominciare da Tievoli, che non ha mai fatto mistero della sua gratitudine. Un venerato maestro, che tra i suoi allievi ha avuto anche Francesco Schettino, suo vicecomandante per almeno due anni. Nell’ottobre del 2008 il comandante Palombo ha pubblicato un libro di memorie, tiratura duecento copie, un’opera da regalare agli amici, intitolata La mia vita da uomo di mare: da Camogli all’Isola del Giglio, dalle navi da carico ai prestigiosi comandi di navi passeggeri . È una specie di bilancio esistenziale redatto sotto forma di diario di bordo, con il racconto di ogni traversata, di ogni viaggio. «Verso le 22.00 ebbi anche l’opportunità di passare davanti al porto del Giglio, rallentare sensibilmente la velocità, transitare molto rasente alla costa e salutare la mia isola. Era la prima volta che una nave così grande, l’ammiraglia della “Costa” e della flotta italiana, passava così vicino e salutava la popolazione accorsa sul molo. Una grande emozione» . Primo ottobre 1993. La data di nascita dell’inchino, la deviazione della nave per rendere omaggio a una persona o ai suoi familiari che assistono al passaggio dalla terraferma. Dopo la tragedia della Costa Concordia, ogni frase di quel memoriale assume una luce nuova, anche sgradevole per il suo autore. Venticinque luglio 1996: «Ci avvicinammo lentamente al Giglio e quando fummo vicinissimi vidi mio padre sulla punta del molo, con il binocolo a tracolla». Ventuno novembre 1998, dove si parla dello scoglio diventato celebre in tutto il mondo: «Puntai sulle Scole rallentando gradualmente la velocità… la gente che era alle finestre segnalò la sua presenza accendendo e spegnendo le luci. Fu una bella emozione» .

L’inventore della «manovra»

Palombo trascorrerà gli anni seguenti a difendere, con buone ragioni, il proprio passato. L’inchino era una pratica comune, dipende da come lo si faceva, talvolta capitava anche che fosse una richiesta della compagnia armatrice. È quel che accade la sera del 13 gennaio 2012. Quando sul ponte di comando il cortocircuito tra passato e presente diventa completo. Schettino invita Tievoli a salire per godersi il momento. Insieme chiamano Palombo, avvisandolo che si accingono a rendere omaggio anche a lui . Sul contenuto di quella telefonata le versioni divergono. Sembra che l’anziano maestro abbia avvisato l’allievo che si trovava nella sua casa di Grosseto, ben lontano dal mare, e non al Giglio. Sebbene inventore di quella manovra, non era dunque lui il destinatario principale dell’inchino. Tutto appare chiaro nella sua semplicità quella mattina a casa Tievoli. Dopo il caffè, la mamma del maître concede a un cronista anche il permesso di uscire sul balcone a fumare una sigaretta. La finestra della sala da pranzo è affacciata sul mare. Quando c’è sole, la casa è inondata di luce. In tutto quell’azzurro bisogna sporgersi e scrutare sotto per vedere le uniche tre macchie scure. Sono gli scogli delle Scole.

COME ERAVAMO DEPRESSI IN QUELL’INIZIO DI 2012. ERAVAMO LA PECORA NERA D’EUROPA, A RISCHIO DEFAULT, LO SPREAD IMPAZZAVA

Il 27 luglio 2014 due rimorchiatori hanno portato la Costa Concordia a Genova per lo smantellamento da parte del Consorzio Ship Recycling. Oltre 350 lavoratori hanno lavorato 1 milione di ore per recuperare più di 65.000 tonnellate di materiale. Costo totale: 104 milioni. Foto di Alessandro Gandolfi

Come stavamo depressi, in quell’inizio di 2012. Eravamo la pecora nera d’Europa, a rischio default, con lo spread che impazzava e aveva reso quasi obbligatorio un cambio di governo, con Silvio Berlusconi e gli eccessi non solo verbali della sua ultima stagione al potere che avevano ceduto il posto all’austerità di Mario Monti . Era da poco stato pubblicato l’annuale stato della nazione dell’Istat, dove si dimostrava come mai prima d’allora ci eravamo sentiti così poco orgogliosi di essere italiani. Le agenzie di rating menavano forte, Moody’s e Standard & Poor’s ci declassavano, la Borsa di Milano era in zona retrocessione, l’Economist esclamava “Povera Italia”, mentre il tedesco Spiegel poneva un simpatico quesito ai suoi lettori: «Qualcuno si stupisce che il capitano della nave fosse un italiano?».

Cartolina da esportazione e morti dimenticati

Quella prima immagine, infine l’unica destinata a rimanere impressa nella memoria collettiva, divenne una parte per il tutto. Come se anche l’Italia si fosse arenata sul fondale dell’Isola del Giglio, o fosse sul punto di affondare. Quel paesaggio rimasto immutato per tre anni divenne una cartolina da esportazione, tanti saluti dal Bel Paese, una citazione quasi obbligata in ogni articolo o servizio che ci riguardasse, la spiegazione semplice di un Paese complicato come è il nostro. La Costa Concordia e Schettino hanno continuato ad affondarci per molto tempo. Nel luglio del 2013 Erin Burnett, autorevole giornalista della CNN , ridacchiò in diretta alla notizia che uno sciopero degli avvocati aveva impedito la ripresa del processo per il naufragio. E con il dito alzato indicò senza aggiungere altro l’immagine della nave adagiata su un fianco. Ne La grande bellezza , un esausto Toni Servillo in versione Jep Gambardella la guarda dall’alto, come se fosse il simbolo della nostra resa, di una società allo sfascio. Davanti a quella balena d’acciaio costretta a una perpetua agonia, resistere non serve a niente. Sembrava che la Concordia fosse destinata a rimanere lì per sempre, dove l’avevano condotta la sciatteria e l’imperizia umana. A ricordarci chi siamo. La metafora indotta dalla Costa Concordia fu così forte che dei suoi morti si parlò poco o nulla. Mai visto un processo di rimozione così veloce. Un mese dopo la tragedia, e nessuno si ricordava un nome.

Italiani, francesi, spagnoli, americani, peruviani, indiani. A rileggere oggi le loro storie così dolorose, si ha la sensazione che siano stati due volte vittime, oscurate dal peso simbolico di quella vicenda. Anche Schettino divenne ben presto una ossessione nazionale. Grande attenzione venne data ai suoi presunti flirt a bordo, al suo ritorno nella natia Meta di Sorrento che lo difendeva contro il resto d’Italia . E lui, mal consigliato da avvocati più attenti all’aspetto mediatico che a quello giudiziario, non si fece mancare nulla, restando una presenza costante, spesso per via indiretta, per bocca d’altri. L’importante era che ci fosse. Anche solo per ricevere insulti, contumelie e bastonate pubbliche che in Italia mai vengono negate a chi si trova in evidente difficoltà. Eppure, ancora oggi non si può capire la puerilità di quel «sono caduto in una scialuppa» o di quel «vabbuò» con conseguente alzata di spalle come replica all’osservazione sul fatto che i passeggeri stavano cercando scampo da soli. Sul viale principale di Orbetello e Porto Santo Stefano campeggiò a lungo l’immagine di Dayana Arlotti, con sotto la promessa di denaro a chi aveva notizie sul suo conto. Aveva sei anni e si era appena iscritta al miniclub per giocare con gli altri bambini. Adorava suo papà Wiliam, un uomo sfortunato, vittima di una forma rara di diabete che lo aveva costretto a un trapianto rendendolo disabile. L’ultima volta che vennero visti, lei stava piangendo spaventata, mentre sul ponte tutti correvano all’impazzata. Suo papà doveva tornare in cabina per prendere le medicine che gli consentivano di vivere.

L’eroe che rinunciò al posto in scialuppa

Scesero nel buio tenendosi per mano. Ci sono volute poche testimonianze per capire che Giuseppe Girolamo da Alberobello, che a bordo della Concordia suonava la batteria nella Dee Dee Smith Band che allietava le serate dei croceristi, è morto da eroe. Era già in salvo, imbarcato su una scialuppa. Ne è sceso per lasciare un posto a un bimbo , tornare sul ponte e cercare di aiutare le persone anziane che rischiavano di essere travolte dalla calca. E poi tante altre storie, piene di dignità, anche di coraggio davanti a una situazione diventata estrema in un attimo. Persone che avevano affidato la loro vita a gente che non conoscevano, ma che reputavano essere professionisti ed esseri umani seri. «Quando sali sulle nostre navi stringi un patto con noi» diceva un volantino dell’epoca della Costa Crociere. Qualcuno invece ha tradito i passeggeri della Concordia, nel modo più stupido.

La bufala della «femme fatale»

Domnica Cemortan Perché c’è sempre stata una sproporzione evidente tra la dimensione di un disastro epocale e le sue cause. Anche oggi, dieci anni dopo quella notte, il dramma della Costa Concordia si riduce a un impasto di sciatteria, disorganizzazione e incompetenza, nient’altro che questo. All’inizio si speculò molto, e altrettanto fece lei, sulla presenza in tolda di Domnica Cemortan, ballerina moldava che visse una breve stagione da femme fatale capace di distrarre Schettino dai suoi doveri . Ma era poco più di un dettaglio da gossip, una ulteriore nota a margine su un canovaccio ormai definito. Questa è sempre stata una storia senza mistero, una strage come conseguenza di un gioco scemo, fatto su un ponte di comando più affollato di un tram all’ora di punta, dove non esisteva catena gerarchica e tutto veniva gestito con superficialità. Schettino voleva consolare Tievoli, che doveva “scendere” la settimana precedente dopo mesi di navigazione, ma non era arrivato il rimpiazzo ed era dovuto restare a bordo. Così lo chiama sul ponte di comando, là dove non dovrebbe stare. «Antonello vieni a vedere, che stiamo sopra al tuo Giglio», gli dicono. «Attenti, che siamo vicinissimi alla riva», risponde lui. Troppo tardi.

SI CAPÌ PRESTO CHE ERA UNA STORIA SENZA MISTERO, UNA STRAGE CONSEGUENZA DI UN GIOCO SCEMO. UN’OMBRA CHE SFIGURÒ UN PAESE

I consulenti nominati dalla procura di Grosseto scriveranno che Schettino ha guidato la nave «come se fosse un’auto». E non salveranno nulla della sua condotta. La Costa Concordia navigava accanto alla secca di mezzo canale, distante circa 170 metri dal promontorio, in acque sicure perché nel punto più basso il fondale raggiunge i 24 metri, 16 in più del pescaggio della nave. Quando si avvicina al Giglio non lo fa accostandosi, ma con una vera e propria virata verso l’interno, una manovra quasi perpendicolare rispetto alla logica via da seguire in una normale navigazione sotto costa, «ritardando oltre ogni possibile temerarietà il rientro in rotta che le avrebbe consentito di passare in parallelo al fronte del porto». Quasi come se la nave avesse puntato a sfiorare un bersaglio, scrivono gli esperti. A bordo c’erano 420 persone, ignare di quel gioco.

L’ultima scialuppa di salvataggio partita dalla Costa Concordia al Giglio è conservata in un cortile in contrada Fonteblanda di Orbetello, nel Grossetano. Appartiene ad Antonio Orlandi, titolare della CN Talamone, società che fornisce servizi marittimi. Foto di Alessandro Gandolfi

Quella visita, due anni dopo

Francesco Schettino tornò sull’Isola del Giglio due anni dopo, il 26 febbraio del 2014. Il sopralluogo dei suoi consulenti a bordo del relitto era solo un pretesto. Si fece fotografare in piedi sul ponte del traghetto che lo sbarcò, in raccoglimento davanti alla sagoma di quella che fu la sua nave. Sembrava una messa in scena . C’era qualcosa di rituale e posticcio in quella visita improvvisa, fortemente voluta dal diretto interessato. Ormai il comandante era un altro uomo, completamente trasfigurato dal contatto con una celebrità macabra. Aveva imboccato la via mediatica al suo processo scegliendo di trasformarlo in una specie di format, a ogni occasione un evento, annunciato dai suoi avvocati. Si confinò in una villa sulla collina che domina il porto, con i suoi legali che gli filtravano le telefonate e rilasciavano dichiarazioni ad effetto, sempre le stesse, facendolo parlare come un libro stampato, pieno di riferimenti a sé stesso e privo di una qualunque forma di empatia verso le vittime .

SCHETTINO DIVENNE UN MODO DI DIRE, L’UOMO CHE ABBANDONA LA NAVE, PERSEGUITATO DAL CELEBRE «SALGA A BORDO, CAZZO»

L’ex capitano della Costa Concordia Francesco Schettino prima e dopo il contestato sopralluogo sulla Costa Concordia all’Isola Giglio due anni dopo il disastro, il 27 febbraio 2014 (foto Ansa)

Sembrava quasi che si ostinasse a non capire la propria situazione, a non comprendere le ragioni di opportunità che sconsigliavano quella visita, così come altre dichiarazioni su non meglio precisate cospirazioni ai suoi danni. O, forse, era solo una forma di disperazione che poi si tradusse in un cupio dissolvi pubblico, incoraggiato da una forma morbosa di attenzione da parte dei media, che spesso si dimenticarono del fatto che si raccontava la vita quotidiana di una persona divenuta famosa per aver causato la morte di 32 persone.

Divisa bianca e Champagne a una serata mondana

Ma lui ci mise del suo, questo è sicuro. Venne fotografato a una serata mondana in bianco, con flûte di champagne in mano mentre era in attesa di giudizio. Accettò di partecipare a una lezione alla Sapienza di Roma, poi cancellata per la reazione dell’opinione pubblica. I suoi avvocati trattarono interviste con Barbara D’Urso, persino una partecipazione all’Isola dei Famosi , e vai a sapere se alla fine lui ci sarebbe andato davvero. A una immagine ingiustamente simbolica fu contrapposto un simbolo umano non solo di imperizia, ma anche di apparente strafottenza. Schettino divenne un modo di dire, l’uomo che abbandona la nave, perseguitato dal celebre «Salga a bordo cazzo» pronunciato durante i soccorsi dal comandante della Capitaneria di porto di Livorno Gregorio De Falco , che invece trovò fama e carriera politica proprio perché il confronto tra due italiani così diversi tra loro azzerava, o almeno si sperava fosse così, ogni stereotipo negativo, ogni danno collaterale all’immagine del nostro Paese prodotto dal comandante della Concordia. Nel febbraio del 2015, rilasciò una intervista dal contenuto bizzarro al Corriere della Sera in cui sembrava più preoccupato della reputazione danneggiata a causa della sua strategia mediatica che della condanna in primo grado a sedici anni di reclusione ricevuta pochi giorni prima.

Il tritacarne: «Sono stato tradito da tutti»

Mostrò almeno una qualche forma di consapevolezza, riconoscendo di essere finito un tritacarne dal quale non riusciva più a uscire. «Sono stato tradito da tutti, a cominciare da chi avrebbe dovuto difendermi» disse. E almeno questo è vero. Molti videro in Schettino una opportunità, un filone da sfruttare. E non il semplice responsabile di una tragedia destinata a fare storia. Adesso sappiamo che non eravamo quell’immagine. All’epoca fu tanto facile quanto ingiusto fare del disastro la cartolina dell’Italia, assecondando una depressione che aleggiava nello spirito del tempo. Ma ci volle uno sforzo davvero collettivo, “di sistema”, per cancellare dalla vista quello scempio. Il raddrizzamento e il risollevamento della nave servirono a voltare una pagina imbarazzante, a separarsi in modo definitivo da quella visione così carica di significati sbagliati. Schettino tacque dopo quell’ultima intervista. La sua condanna divenne definitiva la sera del 12 maggio 2017. Lui attese la sentenza della Cassazione all’esterno del carcere romano di Rebibbia, il suo ultimo colpo di teatro . I suoi nuovi avvocati hanno chiesto la revisione del processo.

Con un peso totale di 114.000 tonnellate, la Concordia era un vero gigante dei mari. La nave è stata fusa a 1.600 gradi a Lonato, in provincia di Brescia, in questo forno elettrico ad arco, che può contenere 100 tonnellate di acciaio liquido alla volta. Foto di Alessandro Gandolfi

L’avventura parlamentare di De Falco

Gregorio De Falco Il capitano Gregorio De Falco lasciò ogni ruolo operativo in Marina e venne promosso a capo dell’Ufficio Studi, un modo per allontanare dai ruoli operativi un personaggio diventato troppo ingombrante per i suoi superiori. Nel 2018 si candidò al Senato nelle liste del Movimento 5 Stelle e fu eletto. L’anno dopo passò al gruppo misto. Da allora ha cambiato altre due formazioni parlamentari. Domnica Cemortan è tornata in Moldavia e ha completato i suoi studi universitari. Oggi è una attivista dei diritti civili nel suo Paese. Il relitto della Costa Concordia arrivò a Genova il 27 luglio 2014, e dal giorno seguente iniziò la sua demolizione. Ci vollero tre anni per recuperare e smaltire 53.000 tonnellate di acciaio e altri materiali. Dal 7 luglio del 2017 non ne resta più nulla, se non qualche oggetto venduto sottobanco ai collezionisti di reliquie. È solo un nome. I morti, invece, sono ancora morti.

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