L’Omino in metrò - Il virus siamo noi

2022-10-09 16:59:25 By : Mr. jianqun lin

Era stata una giornata di lavoro pesante. In banca ormai non si faceva altro che stare davanti al computer e seguire le procedure. I nuovi finanziamenti annunciati dal governo per contrastare la crisi economica per il covid19 avevano suscitato molto interesse nella clientela. Così Mattia non aveva fatto altro che parlare al telefono tutto il giorno con i clienti. I decreti DPCM si susseguivano a breve distanza di tempo l’uno dall’altro e l’ultimo annullava il precedente. Tutto ciò creava incertezza e per dirla tutta non ci si capiva nulla. Alla fine non era riuscito a chiudere nemmeno una pratica.

Anche il direttore era agitato più del solito. Era soprannominato “Tic-Tac” per i suoi molteplici gesti involontari che sembravano apparentemente indipendenti ma che invece avevano un loro senso logico. Sviluppava un movimento rapido a scatti tutto sulla parte destra. Partiva dalla spalla per poi salire su per il collo coinvolgendo l’occhio e dopo rimbalzava giù verso il labbro che vibrava vorticoso. Balbettava generando sillabe, ripetendole velocemente, che producevano un effetto echeggiante quasi stereofonico ma alla fine riusciva incredibilmente a completare la frase. Non gli aveva mai detto nulla in merito per non metterlo in imbarazzo. Gli suscitava compassione. Al di là delle apparenze, comunque ingannevoli, era invece molto competente e professionale ma purtroppo non reggeva la tensione.

Tra uno squillo e l’altro, a fine giornata, si sentiva stanco. Aveva gli occhi pesanti e gonfi e non era più in grado di concentrarsi. Il suo cervello non connetteva più. Nonostante i suoi quasi 55 anni era ancora prestante e dimostrava meno anni di quelli che aveva. Dopo 25 anni di anzianità lavorativa non si faceva scoraggiare da alcunché. Ne aveva viste e vissute di situazioni ma questa volta la Pandemia lo preoccupava molto. Riteneva che potesse comportare una crisi economica e sociale paragonabile solo al periodo della guerra. Quel giorno proprio non ce la faceva più e decise, quindi, che la giornata era finita lì. Indossò il cappotto sopra la giacca, prese le chiavi, il portafoglio e il cellulare che erano nel cassetto e li infilò nelle varie tasche. Stava per uscire ed era sulla soglia della porta quando si accorse che aveva dimenticato la mascherina. Non ne aveva ancora fatto un’abitudine. Penzolava di lato dal porta fascicoli posto sulla scrivania. La prese e la indossò facendo passare gli elastici intorno alle orecchie. Una vera tortura. Non solo respirava male ma rischiava di farsi venire anche le orecchie a sventola. Afferrò la valigetta e salutò il direttore, che sedeva dietro la scrivania, ora molto più rilassato, e il collega, mentre fumava una sigaretta distrutto più di lui. E così uscì dall’ufficio.

Si riversò in strada rinfrescato dall’aria serale, di certo migliore di quella chiusa e filtrata dell’ufficio. I suoi occhi stanchi erano infastiditi dalle forti luci delle insegne e delle vetrine dei negozi di via Gregorio VII.  Si diresse giù per Piazza San Pietro, la attraversò immergendosi nella sua maestosità. Ogni volta che solcava il suolo sacro provava una sensazione di pace e di protezione avvolto tra le braccia del colonnato. Le statue sovrastanti sembravano seguirlo con lo sguardo come volessero parlargli. Proseguì e attraversò piazza Risorgimento e alla fine imboccò per Via Ottaviano. Con una “chicane”, da vero pilota di formula uno, si svincolò dai soliti mendicanti che erano lì dalla mattina. In realtà erano lì da anni, sempre gli stessi. Simulavano finte gravidanze e malformazioni apparentemente gravi. I turisti ci abboccavano come pesci all’amo e nessuno aveva mai osato dire nulla. Alla fine raggiunse l’entrata della metro e scivolò giù per le scale dondolando la valigetta con la mano sinistra. Guardò se c’erano dei giornali gratuiti ma a quell’ora erano purtroppo terminati. Gli scaffali erano vuoti. Si ricordò però di averne preso uno la mattina e di averlo riposto nella valigetta. Per la concitazione di arrivare in orario non era riuscito a leggerlo.  All’improvviso lo investì una corrente d’aria fredda. Era la metropolitana che stava arrivando in stazione. La velocità del treno sospingeva l’aria dalla galleria verso le varie entrate situate in superficie. Fu in quel momento che sentì il rumore del treno mentre rallentava. Per non perderlo affrettò il passo. Appoggiò la tessera dell’abbonamento sul dispositivo magnetico per far aprire il tornello che al contatto emise un click. Lo spinse con la mano e passò. Corse più velocemente e prese la scala mobile. Scese i gradini rischiando di urtare le altre persone che compostamente si erano messe di lato, sentendolo arrivare urlando un deciso «permesso, scusate!». Nonostante la mascherina che gli occludeva la bocca, riuscì a correre e a raggiungere la banchina della stazione, anche se gli costò un bel fiatone e il cuore a mille.

Avvertì un rumore battente. Le porte del treno si erano chiuse e dopo pochi secondi il treno partì. Lo vide allontanarsi accelerando gradualmente e scomparire nella galleria. “Pazienza” sospirò  “aspetterò il prossimo”. Nemmeno un minimo di stizza lo trasalì. Era un uomo saggio Mattia.

Per quella corsa che alla fine si era rivelata inutile incominciò a sudare. Vide che c’era un po’ di gente, ma non tantissima come prima della pandemia. Le scuole ancora erano chiuse. Lo smart working e chi aveva scelto di prendere l’auto per recarsi al lavoro avevano ridotto di molto l’affluenza. Notò una panchina libera e si sedette su uno dei posti non contrassegnati. Per l’obbligo del distanziamento c’erano dei segnaposti messi in modo alternato che indicavano dove potersi sedere. La scritta gialla luminosa del display annunciava intanto che il prossimo treno sarebbe giunto tra 10 minuti. Aveva quindi un po’ di tempo per rilassarsi. I video appesi in alto sulle colonne della stazione davano in contemporanea le stesse immagini pubblicitarie. Mise la valigetta sulle gambe e tirò fuori il giornale. In prima pagina c’era la notizia dell’ammartaggio del robottino Perseverance. Un’altra impresa su Marte che tra l’altro la RAI aveva snobbato, data in diretta invece da una emittente che trasmetteva solo documentari. Una foto in bianco e nero mostrava il suolo marziano con delle pietre subito sottoposte allo studio degli scienziati. L’atterraggio era stato complicato a causa dell’aria molto rarefatta di Marte che avendo minor attrito, aveva reso la discesa molto veloce. In fase di avvicinamento la sonda aveva sganciato, non servendo più, lo scudo termico di protezione e aperto il paracadute per l’ultima frenata con i motori. Il rover Perseverance, dalle dimensioni di un piccolo suv, si staccò dal blocco motore e venne calato con la gru spaziale formata da fili d’acciaio che lo tenevano sospeso. Una volta al suolo i fili vennero recisi e il motore si allontanò per schiantarsi distante dalla sonda. Sette minuti veri di terrore, tanti quanti durò l’ammartaggio ma alla fine l’applauso scrosciante dei tecnici della sala operativa della NASA annunciò che Perseverance aveva toccato il suolo marziano e che la missione era riuscita. Sensazionale! Fantastico! Non c’erano aggettivi per descrivere l’emozione. Il  compito del rover era di accertare se vi fossero tracce di vita e di acquisire più dati possibili che sarebbero stati utili per  pianificare e organizzare l’invio dell’uomo sul pianeta in un secondo momento. Già erano state progettate città fantasiose composte da container modulari. Sarebbero stati sufficienti solo sette mesi di viaggio e si sarebbe giunti su Marte. Si era ormai vicini al grande passo diretto all’esplorazione di nuovi mondi, in cerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare dove nessun altro uomo è mai giunto prima.

Sul video, a metà della banchina, veniva proiettato uno spezzone del film di Star Trek preannunciandone la visione la sera stessa sul canale 24. Una nave Romulana teneva sotto scacco l’Enterprice:

«Arrendetevi, Capitano Kirk, non avete scampo! Venendo in questo quadrante avete infranto i trattati di Vega. Devo considerare la vostra presenza un atto di guerra» disse il capo romulano dalla sala di comando della sua astronave.

Kirk si giustificò «Non è così! Una tempesta magnetica ci ha trascinato in quest’area e al momento siamo in avaria. Anzi vi chiediamo soccorso».

Tolse l’audio e  rivolgendosi al secondo disse «Spock, controlla se abbiamo energia per lanciare i siluri fotonici»

«Sì, capitano! Abbiamo poca energia, sufficiente solo per la potenza di un raggio fotonico» disse Spock.

«Va bene! Facciamo finta che siamo completamente in panne, spegniamo i motori» disse Kirk.

«Ci sparano addosso» fece Spock.

«Alzate gli scudi» comandò il Capitano.

«Scudi alzati» disse Spock e una bordata, proveniente dalla nave romulana, colpì l’Enterprice, scuotendola.

«Verifica dei danni» disse il capitano Kirk.

«Gli scudi hanno tenuto» disse Cechov.

Un sospiro di sollievo pervase la sala di comando. Solo Spock rimase impassibile, Vulcaniano com’era non manifestò alcuna emozione.

Rimase guardingo con l’occhio fisso sul rilevatore tipo microscopio per carpire le mosse del nemico e poi disse:

«Si stanno armando di nuovo. Impiegheranno 31 secondi».

«Approfittiamone! Virate a destra» ordinò Kirk.

L’astronave si girò con la prua verso la nave romulana, abbassò gli scudi e sparò l’unico colpo che aveva a disposizione e andò a segno. La nave romulana esplose in mille pezzi rischiando di inondare di detriti la stessa Enterprice.

«Scott, attivati per riparare i motor…… »

Improvvisamente i video della stazione si spensero. Apparve la scritta “treno in arrivo tra un minuto”. Chiuderli rientrava in un sistema di sicurezza per non far distrarre i passeggeri nella fase di imbarco e sbarco. Dopo un po’ il treno giunse, avvicinandosi lentamente fino a fermarsi. Le porte dei vagoni si aprirono in contemporanea provocando un rumore fragoroso. Per entrare, Mattia si mise di lato, in attesa che scendessero i passeggeri. Un signore un po’ rotondetto dietro di lui tentò prima un affiancamento e poi un sorpasso. Rimasero per circa due secondi incastrati in mezzo alle porte spalleggiandosi per entrare. La posta in palio era uno dei sedili liberi del vagone. Sembrava una scena fantozziana, ma l’altro lo colse di sorpresa. Come sul rush finale di una corsa ciclistica quello che parte da dietro ha più spinta e vince. Fu così che l’anonimo contendente riuscì a buggerargli il posto. Allora gettò un’occhiata panoramica alla ricerca di un altro libero. Lo scorse. Si avvicinò veloce, ma niente. Anche quello andato. Stavolta però era meno dispiaciuto trattandosi di un’anziana signora. Se l’avesse preso prima lui, si sarebbe alzato e glielo avrebbe comunque ceduto. Un minimo di civiltà, perdinci. “Siamo Uomini o Caporali” avrebbe detto il mitico Totò.

E così rimase in piedi. Arrotolò quindi il giornale e lo ripose nella tasca del cappotto. Con la sinistra teneva la valigetta e con la destra si aggrappò all’asta al centro del vagone. “Eh già, povera umanità”, ripensò. Ci si contende un posto sulla metro,  figuriamoci cosa potrebbe succedere per conquistare lo spazio…

Il rover sarebbe stato l’artefice di una possibile colonizzazione su Marte. Le immagini di Star Trek sembravano essere apparse a proposito. In un futuro non molto lontano l’uomo avrebbe indagato i misteri dell’universo a bordo di astronavi. Magari fossimo in grado di comportarci con la correttezza manifestata dall’equipaggio dell’Enterprice negli episodi di Star Trek. Era invece più probabile che l’uomo avrebbe utilizzato tutti i suoi mezzi e applicato tutte le sue strategie per sfruttare le materie prime dei pianeti e soggiogare i popoli extraterrestri per carpirne le loro conoscenze.

D’altronde la storia ci insegna cosa l’uomo sia stato in grado di fare nelle varie epoche. La brama di conquiste ha comportato sempre guerre atroci e cruente. I vincitori hanno poi sottomesso gli sconfitti rendendoli schiavi. Basti ricordare quello che accadde nel XVI°-XVII° secolo quando gli africani venivano schiavizzati per lavorare nelle piantagioni Americane di cotone e tabacco. Strappati dalle loro tribù e trasportati su galeoni, i negrieri li ammassavano nelle stive, come alici, sprezzanti della vita umana. E che dire delle razzie spagnole nel centro-sud America con la distruzione dei popoli Aztechi e Inca. I missionari li obbligavano a redimersi e pregare un Dio non loro, sottomettendoli. Invece, gli Indiani d’America furono annientati dall’ingordigia dei coloni assetati di ricchezze. Avevano terre immense, oggi sono relegati in un territorio grande come un fazzoletto. Poi agli inizi del ‘900 ci fu la rivoluzione industriale, dove soprattutto in Inghilterra addirittura i bambini erano costretti a lavorare per ore nelle fabbriche per due soldi. Operai sfruttati senza diritti. E poi le ultime due guerre mondiali con le loro stragi, soprattutto quelle compiute dai nazisti nei confronti degli ebrei. Un olocausto che ancora oggi è impresso nella nostra memoria ma che sembra non abbia sortito l’effetto sperato, dal momento che l’umanità continua imperterrita a mostrare le sue nefandezze. E dulcis in fundo la bomba atomica sganciata su Nagasaki e Hiroshima senza alcuno scrupolo pur di vincere sul nemico. Un Caino e Abele che si scontrano continuamente come nello Yin e lo Yang della filosofia cinese che dalla interazione delle due forze contrapposte del bene e del male si dovrebbe trarre un equilibrio sfociante in una agognata armonia mondiale. Al momento la situazione attuale non sembra essere cambiata molto rispetto al passato. Stiamo vivendo una vera e propria “guerra economica” fondata sullo sfruttamento operaio dei Paesi asiatici con la complicità delle industrie occidentali. La chiamano globalizzazione. E adesso? Ci stiamo avvicinando a un futuro di conquiste interplanetarie? Quanto sangue sarà ancora versato? E quanti soprusi saranno professati in nome dell’umanità? Sarà la storia a dare l’ardua sentenza.

«Io ne ho viste di cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannahauser». La frase cult del film Blade Runner era appropriata. Forse profetica di un futuro non molto lontano.  

Nel frattempo all’asta dove Mattia si reggeva, vi si era attaccato anche un signore di una certa età. Era un po’ sofferente e dalla mascherina di tipo chirurgica provenivano dei colpetti attutiti di tosse. Lui invece aveva una mascherina FFP2 con potere filtrante maggiore rispetto alle altre sia in uscita e sia verso chi le indossa. Quindi non avrebbe dovuto temere nulla ma lo guardò lo stesso con diffidenza. Quella vicinanza lo infastidiva. Il virus si stava evolvendo. Era notizia fresca, di questi giorni che erano state riscontrate delle varianti. Non si sapeva con certezza se i diversi vaccini, sinora approvati, fossero ancora in grado di contrastarle in modo da generare anche per esse anticorpi adeguati. “Maledetto virus! ” pensò. Ormai era trascorso un anno da quando il covid 19 era apparso sulla scena mondiale e ora che si avevano i vaccini, ecco venir fuori le varianti. Un situazione che faceva temere un ulteriore prolungamento della pandemia. Se non si fosse intervenuti in tempo, il virus si sarebbe espanso sempre di più in modo esponenziale come accade ad esempio nelle cellule tramite il processo della meiosi: da una diventano quattro, e da quattro sedici, poi trentadue e così via…

Ormai i suoi pensieri avevano preso il via. La velocità della metro insieme al dondolio e a qualche sobbalzo del vagone facilitava le connessioni sinaptiche del suo cervello.  Elaborava teorie che rasentavano l’immaginario conosciuto. Così investito da quella specie di energia centripeta della metro proseguì nelle sue riflessioni…

Il virus è infinitamente minuscolo e si insinua nelle cellule umane e le distrugge. Ma, a pensarci bene, anche noi esseri umani siamo infinitamente piccoli rispetto al mondo e soprattutto rispetto all’universo. Il nostro sistema solare ha il sole, intorno al quale girano i pianeti proprio come l’atomo ha il nucleo, intorno al quale girano gli elettroni. E il paragone induce a ritenere che l’umanità possa far parte di un immenso atomo che a sua volta fa parte di una immensa cellula e insieme ad altre cellule fa parte di un organismo che è l’universo. La materia nella materia. Il microcosmo nel macrocosmo come in un’idea di matriosche russe in più dimensioni spazio-temporali. Una intuizione folle, ma che ci poteva stare, considerando l’impossibilità di risolvere il mistero della vita e di spiegare lo spazio immenso.

Mattia incominciò a sudare. Cambiando prospettiva tutto appariva più chiaro. E se fossimo noi umani il Virus? L’elemento da eliminare? E quindi, se il corona-virus invece fosse l’anticorpo? l’elemento debellante dell’umanità? Una cosa era comunque chiara. Non poteva continuare così. La parte malvagia dell’umanità andava fermata. Era pericolosa, e nella sua imminente espansione nello spazio tramite viaggi interplanetari poteva essere in grado di distruggere l’Universo.

Il signore vicino a lui cominciò a tossire sempre più insistentemente. Si soffiò il naso abbassandosi la mascherina, incurante delle tante persone che in quel momento affollavano il vagone. Non si preoccupò nemmeno di scansarsi più in là per trovare un posto più isolato. Nemmeno un gesto di scusa. Un mix di rabbia e di paura assalì Mattia. Avrebbe voluto addirittura picchiarlo, perché era palese che non gliene importava nulla di infettare qualcuno, mostrando un egoismo becero di cui non era un caso isolato, purtroppo. Voleva dirgliene quattro ma non fece in tempo poiché si accorse che il treno stava rallentando, si stava fermando alla stazione di “Spagna”. Non era la sua fermata. Da lì mancava ancora molto per scendere a “Subaugusta”. Circa 15 fermate. Le porte si aprirono e lui ne approfittò per uscire via da quella scomoda situazione. Rimase sulla banchina in piedi con la valigetta in mano. Protetto dalla sua mascherina. Il suo senso di sopravvivenza aveva prevalso al punto da rischiare di diventare violento. Non era dunque diverso dagli altri. Si disprezzò per questa reazione rammaricandosene assai. Si rese conto che anche lui era un essere umano con tutte le sue debolezze e, seppure cosciente di ciò, non si sentiva  comunque da giustificare. Anche lui era un virus da debellare. Stette ancora lì, immobile, riflettendo a lungo mestamente. Attese altri 15 minuti e in silenzio salì sul treno successivo e prosegui per la sua meta.

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