Marano, gli ortolani che coltivano tra i pioppi - Gazzetta di Parma

2022-10-11 07:25:26 By : Mr. Jason Xia

Gli orti sociali di Parma

Un’oasi di pace e tranquillità: così si presentano gli orti di Marano a chi ha voglia di infilarsi in uno stretto budello pieno di buche, che parte dal centro di Marano, per arrivare alla meta. Ma ne vale la pena. Gli orti sociali sono pochi, 58 in tutto, in appezzamenti di 50 metri ciascuno, attorniati dalla gradevole ombra di pioppi vecchi e malmessi, che purtroppo non hanno un futuro. Una croce tracciata sugli alberi con la vernice rossa individua le piante da abbattere, praticamente tutte, ma con la sicurezza non si scherza, uno è addirittura crollato per un temporale, così gli ortolani se ne sono fatti una ragione. Il clima che si respira è il classico cameratismo da paese: tutti si conoscono, scambiano volentieri quattro chiacchiere e si danno una mano quando serve. Niente barriere e recinzioni, qualcosa ogni tanto sparisce, ma negli orti non si può vivere blindati.

La socialità? Si coltiva con la zappa

La socialità? Si coltiva con la zappa

A Marano, poi c’è una situazione particolare: qui vige il matriarcato. Alla guida del comitato c’è Nadia Folezzani, affiancata dalla vicepresidente Daniela Calzolari. «Ho fatto l’impiegata per una vita - dice Nadia - quando lavoravo venivo qui con mia figlia piccola e coltivavo il sogno di avere un orticello tutto mio da curare. L’ho realizzato molti anni dopo, nel 2017, quando sono andata in pensione. Questi orti - ricorda - furono creati ai tempi di Tommasini. Dei vecchi ortolani ormai non c’è più nessuno, sono cambiati abitudini e modi di vivere, ma l’ambiente naturale è sempre bellissimo e il clima fra noi è buono. Certo, ci si è messa anche la pandemia a complicarci la vita. Per due anni la socialità, che era un nostro tratto distintivo, è stata praticamente cancellata, e ricostruirla non è facile, ma lo faremo».

Che non sia impresa facile si nota semplicemente gettando uno sguardo all’improvvisata club house ricavata nel corso dei decenni nello spazio comune: il piccolo edificio costruito che era il punto di ritrovo e il cuore delle feste di ortolani, familiari e amici nel periodo pre-covid è di fatto ridotto ad una baracca pressoché inutilizzabile, momentaneamente sostituito già dieci anni fa con una specie di container prefabbricato, che non è messo molto meglio. E anche del tendone sotto il quale si mangiava la torta fritta è rimasto in piedi solo lo scheletro: «Nel gennaio 2011 - fa notare Nadia Folezzani - il sindaco di allora, Pietro Vignali, ci scrisse per annunciare l’imminente avvio dei lavori di ristrutturazione della club house, ma poi è finita come è finita, e di questo intervento non se ne è più parlato. Comunque noi abbiamo tolto l’eternit dal tetto e abbiamo fatto un minimo di manutenzione per continuare ad usare la struttura come appoggio alle nostre iniziative».

In compenso gli orti sono belli, rigogliosi e ben organizzati. E qui si innaffia regolarmente, grazie al fatto che l’acqua non viene dall’acquedotto, ma è prelevata con una sommersa dal pozzo del parco adiacente, viene stoccata in una cisterna da 3000 litri, acquistata dagli stessi coltivatori negli anni in cui le attività sociali e l’autofinanziamento lo consentivano. Era il periodo in cui gli orti sociali di Marano venivano gestiti dallo storico presidente Giuseppe Cantoni, che guidò gli orti per oltre vent’anni, e riuscì a realizzare il piccolo fabbricato come sede dell’associazione, ad attrezzare l’area con il tendone per le feste e persino a far posare, nel 2008, un monumento a don Gnocchi, simbolo della vita associativa. Ma ancora oggi a Marano pomodori, melanzane, zucchini, cetrioli, cipolle, patate, fave, e in inverno cavoli e verze, crescono rigogliosi in un ambiente in cui - lo confermano gli stessi agricoltori - si sta bene anche quando picchia il solleone.

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